Dopo la corsa all'oro
Gli investitori istituzionali sono costretti a scavare più a fondo per reperire opportunità, mentre si preparano ad affrontare l'inflazione o la stagflazione nei mercati post pandemia
Dopo un'apparente ripresa dalla pandemia nel 2021, nel 2022 l'economia mondiale è ricaduta in quella che potrebbe essere definita una condizione di "long Covid". Tra i sintomi si evidenziano il tasso d'inflazione più elevato degli ultimi 40 anni, i tassi d'interesse più alti degli ultimi 15 anni e il ribasso di mercato più prolungato dalla crisi finanziaria mondiale. Per il paziente, si conferma la stessa prognosi anche nel 2023.
Dalla recente indagine condotta da Natixis (2023 Natixis Outlook Survey), emerge che gli investitori istituzionali, che gestiscono un patrimonio totale di 20,1 trilioni di dollari, sanno di avere davanti un anno particolarmente impegnativo. Sei su dieci ritengono che, alla luce del quadro economico, la recessione sia inevitabile. In previsione di una crescita negativa del PIL, tre quarti (73%) si chiedono però se le sole banche centrali saranno in grado di domare l'inflazione, mentre la metà pensa sia impossibile predisporre un atterraggio morbido. In realtà, l'inflazione sembra essere il minore dei due mali; infatti quasi due terzi degli investitori istituzionali (65%) ritengono che, nel 2023, il rischio maggiore sarà rappresentato dalla stagflazione.
Le obbligazioni tornano a splendere
Ma l'inflazione non porta solo notizie negative: nella prospettiva che le banche centrali continuino a contrastare l'inflazione alzando i tassi anche nel nuovo anno, sette investitori istituzionali su dieci (72%) sono convinti che la risalita dei tassi preluda a un ritorno degli investimenti obbligazionari tradizionali, mentre il 56% prevede mercati obbligazionari in ascesa nel 2023.
In generale, i team istituzionali prevedono che il contesto di mercato sarà caratterizzato da una persistente inflazione elevata (56%). Probabile anche una maggiore volatilità per le azioni (57%) e le valute (50%). L'83% si aspetta inoltre che, nel 2023, le valutazioni acquisiranno più rilevanza.
Nonostante le sfide, pochi sono disposti a ridimensionare le aspettative di rendimento; infatti otto su dieci (77%) ipotizzano di mantenere o di alzare la previsione di rendimento medio al 7,9%. Spicca in particolare la posizione delle compagnie di assicurazione legate all'obbligazionario; alla luce del rialzo dei tassi, quasi la metà (46%) intende infatti aumentare l'ipotesi di rendimento rispetto all'attuale 6,7%.
Le strategie d'investimento per il 2023 punteranno a sfruttare una serie di tendenze emergenti per adeguare il posizionamento dei portafogli istituzionali a un contesto di mercato sconosciuto.
- Il rialzo dei tassi riaccende l'interesse verso le obbligazioni
- La volatilità riporta alla ribalta le valutazioni
- La Cina getta un'ombra sui mercati emergenti
- Investimenti alternativi come risposta alla ricerca di rendimento (e non solo)
- Gli asset non quotati vengono in aiuto a un mercato in ribasso
- La blockchain sembra più interessante delle criptovalute
In sostanza, il contesto non indurrà a stravolgere la strategia di allocazione; i team istituzionali si affideranno invece a mosse tattiche tese a un migliore allineamento dei rischi e delle strategie che li attendono.
PREVISIONE ECONOMICA
La guerra è la prima minaccia per l'economia
Gli investitori istituzionali osservano che l'economia è cambiata profondamente negli ultimi dodici mesi: mentre consideravano che, nel 2022, la principale minaccia per l'economia sarebbe stata la crisi della catena di approvvigionamento, oggi mettono al primo posto la guerra (57%), opinione diffusa soprattutto in Europa dove sette intervistati su dieci (68%) hanno assistito al conflitto tra Russia e Ucraina alle porte di casa.
Un anno fa le istituzioni temevano che una politica di ridotto sostegno da parte delle banche centrali avrebbe avuto ripercussioni negative sull'economia. Ora, dopo i drastici rialzi dei tassi attuati dalle banche centrali per frenare l'inflazione, il 53% teme che una politica sbagliata potrebbe ostacolare la ripresa.
Tra i rischi figura anche il panorama degli scambi commerciali; infatti quattro investitori su dieci (40%) ritengono che l'ulteriore deterioramento dei rapporti USA/Cina possa rallentare l'economia. Questo timore è avvertito in modo particolarmente acuto in Asia, dove circa la metà (47%) delle istituzioni si dichiara preoccupata. Il commercio mondiale è citato tra i rischi anche dal 27% degli investitori consultati nel mondo e dal 40% in America Latina.
La recessione è inevitabile, ma il rischio peggiore è la stagnazione
Dopo avere visto l'inflazione impennarsi ai valori massimi degli ultimi 40 anni, meno di tre su dieci ritengono che possa salire ancora nei prossimi 12 mesi. Comunque, anche se circa la metà (46%) pensa che l'inflazione scenderà, è determinante capire "di quanto". Più della metà (56%) si aspetta che l'inflazione resterà ostinatamente elevata nel 2023, opinione condivisa da due terzi del campione in Nord America. Gli investitori istituzionali riconoscono che le banche centrali hanno reagito prontamente alzando i tassi, ma quasi tre quarti (73%) sono consapevoli che le banche non possono frenare l'inflazione da sole. In sostanza, sei su dieci (59%) pensano che la recessione sia inevitabile. A domanda diretta, il 54% delle istituzioni afferma che la recessione sia una necessità.
Mentre l'inflazione è vista ancora come il primo rischio per il portafoglio (69%) nel prossimo anno e la recessione è considerata un esito probabile, c'è un aspetto che preoccupa ancora di più gli investitori istituzionali: alla luce di una crescita lenta e di un'inflazione persistentemente elevata, circa due terzi (65%) temono la stagflazione più della recessione.
Gli investitori istituzionali si dividono sui possibili effetti indotti dalla politica in materia di performance finanziaria: il 53% prevede un atterraggio in sicurezza, mentre il 47% si prepara a un atterraggio di fortuna. I numeri sono chiari, con il 49% che ritiene irrealistico sperare in un soft landing.
I consumatori hanno le chiavi della crescita globale
Gli avvenimenti che si sono susseguiti sulla scena mondiale negli ultimi tre anni hanno proiettato la crescita mondiale sulle montagne russe. Nel 2020, mentre il mondo era alle prese con le prime fasi della pandemia, la crescita è precipitata al -3,06%. Nel 2021 il mondo ha preso le misure e l'arrivo dei vaccini ha contribuito a dare impulso alla riapertura delle economie; la crescita è così ripartita fino a toccare il 6,11% nel 2021. Questa risalita si è arrestata nel 2022, quando le banche centrali hanno deciso di combattere l'inflazione alzando i tassi ai massimi degli ultimi dieci anni. L'FMI ha così ritoccato le proiezioni di crescita portandole dal 3,59% di aprile al 2,5% di ottobre. Analogamente, la previsione FMI per il 2023 è scesa dal 3,55% al 2,7%.1
Gli investitori istituzionali monitoreranno una serie di indicatori per capire quando la crescita si rimetterà in moto, ma il processo deve partire necessariamente dai consumatori. I consumi (53%) figurano al primo posto tra gli indicatori di crescita (ma anche tra le prime cinque minacce per l'economia). Questa volta i consumatori non potranno essere l'unico driver di crescita e le istituzioni sorveglieranno anche con attenzione la spesa delle imprese (49%), l'occupazione (47%) e la produttività (43%).
Ancora volatilità sulle valute
Un altro effetto collaterale dell'inflazione è la politica monetaria più restrittiva che ha spinto il dollaro al punto di massima forza degli ultimi vent'anni. A fine 2022, la sterlina ha toccato i minimi rispetto al dollaro dal 1985, l'euro è stato scambiato a meno di un dollaro per la prima volta dal 2002 e lo yen è sprofondato ai minimi dal 1990.2
Di fronte a un dollaro mai così forte da decenni, quasi sei investitori su dieci (57%) pensano che la sterlina resterà ai minimi storici. Anche se in proporzione minore (47%), la pensa così circa la metà degli investitori istituzionali consultati nel Regno Unito.
In questo scenario, anche se alcuni si chiedono se l'economia globale finirà per dividersi in due sfere di influenza (Stati Uniti e Cina), la stragrande maggioranza (83%) pensa che il dollaro manterrà la sua supremazia.
In sostanza, le istituzioni considerano che gli stessi fattori all'origine della volatilità sulle azioni e le obbligazioni (inflazione, rialzo dei tassi e guerra in Ucraina) influiranno anche sui mercati valutari. La metà (50%) ritiene che il prossimo anno la volatilità delle valute sia destinata ad aumentare, mentre il 34% pensa che rimarrà ai livelli attuali, già elevati. Solo il 16% pensa che arretrerà nel 2023.
PETROLIO: L'INCERTEZZA FAVORISCE GLI INVESTIMENTI IN ENERGIE ALTERNATIVE
Mentre sei istituzioni su dieci (57%) prevedono una sovraperformance del settore energetico nel 2023, molte stanno prendendo coscienza dei problemi di approvvigionamento creati dalla guerra russa in Ucraina e delle conseguenti ripercussioni sulla loro strategia energetica a lungo termine.
Nel complesso, circa la metà (46%) di questi investitori dichiara di essere stato portato ad aumentare gli investimenti in energie rinnovabili, inclusi solare ed eolico, a causa dei problemi di approvvigionamento energetico; si tratta in pratica del doppio rispetto a coloro che hanno invece aumentato gli investimenti in combustibili fossili. Inoltre il 26% investe nello stoccaggio di energia, mentre il 13% ha aumentato gli investimenti nel nucleare.
A dispetto della potenziale sovraperformance, il 20% sta invece riducendo gli investimenti in combustibili fossili e/o energie alternative. Per alcuni la scelta è quella di incassare i profitti derivanti dall'aumento dei prezzi dell'energia nel 2022, mentre altri puntano l'attenzione sul rischio geopolitico e sulla potenziale volatilità dei prezzi.
In assenza di cambiamenti di rilievo all'orizzonte, pochi scelgono di lasciare invariata la strategia energetica, come evidenziato dal fatto che meno di un terzo (29%) non intende introdurre modifiche.
PROSPETTIVE DEI MERCATI
Prospettive decisamente ottimistiche nonostante il pericolo di recessione
In un quadro di crescente volatilità, inflazione elevata, tassi in rialzo, crescita lenta e probabile recessione, gli investitori istituzionali sono decisamente ottimisti per gran parte delle asset class.
Nel complesso, le istituzioni (63%) tendono a ipotizzare un rialzo del mercato private equity. Riconoscendo però che gli asset non quotati hanno avuto un ruolo di rilievo nelle strategie di sostituzione del rendimento quando i tassi si erano portati ai minimi storici, i team istituzionali potrebbero anche orientarsi sul private equity per compensare rendimenti azionari incolori. Il secondo elemento dell'equazione potrebbe acquistare più peso in un contesto di tassi d'interesse in salita, alla luce del fatto che le opinioni del campione si dividono esattamente a metà riguardo alle prospettive del private debt.
Obbligazioni
Molti prospettano anche la possibile sovraperformance delle obbligazioni nel 2023. Dopo l'intervento delle banche centrali per scongiurare la crisi finanziaria mondiale nel 2008, i tassi sono rimasti bassi e sono scesi ancora quando le banche sono intervenute nuovamente per affrontare la pandemia. Tuttavia, in considerazione dei nuovi rialzi decisi dalle per placare gli effetti della pandemia, il 56% degli intervistati guarda con ottimismo alla performance dei mercati obbligazionari nel 2023.
Azioni
Nonostante il 2022 sia stato un anno di perdite a due cifre per l'indice S&P e in previsione di una volatilità persistente, un numero sorprendente di istituzioni (51%) si dichiara ottimista circa l'andamento del mercato azionario nel 2023. Buona parte del rischio di ribasso è già stato prezzato nel corso del 2022 ed è quindi probabile che gli investitori vedano profilarsi una ripresa, considerando che gran parte del danno sia già stato fatto.
Real estate
Sebbene tradizionalmente gli investitori si siano rivolti all'immobiliare per proteggersi dall'inflazione, il real estate in tutte le sue sfumature mette d'accordo una maggioranza schiacciante nel prevedere una contrazione del mercato nel 2023. Gli effetti a catena della pandemia incombono sull'immobiliare commerciale a causa del permanere delle politiche di smart working e dei modelli di lavoro ibridi, tanto che l'82% del campione prevede un andamento al ribasso. Inoltre, dopo avere assistito alla corsa dei valori del residenziale durante la pandemia, gli investitori istituzionali si attendono un rialzo dei tassi e prezzi delle abitazioni in calo, mentre il 74% pensa che il mercato sia avviato verso una contrazione. Alcuni team istituzionali rimangono però ottimisti sulle prospettive di questa asset class e stanno individuando sbocchi di investimento mirati. (Cfr. riquadro: Oltre il residenziale e il commerciale)
Criptovalute
Con lo S&P Bitcoin Index in flessione di più del 62% da inizio anno,3 l'82% del campione ritiene che la sottoperformance delle criptovalute proseguirà anche nel 2023. L'anno già difficile per queste valute è addirittura peggiorato a novembre quando FTX, secondo exchange mondiale di criptovalute, ha presentato istanza di fallimento, seguito a ruota da BlockFi.
STRATEGIA DI PORTAFOGLIO
Per i portafogli, aggiustamenti tattici anziché modifiche strategiche
Lo scenario di mercato prospettato per il 2023 potrebbe apparire molto diverso da ciò a cui le istituzioni si sono abituate nel decennio scorso, ma pochi prevedono che possa preludere a modifiche sostanziali della strategia di allocazione. In realtà, l'indagine ha evidenziato che, in media, le allocazioni istituzionali non si sposteranno più dell'1% nelle singole asset class. Tuttavia, per quanto remota sia la possibilità di modifiche di rilievo sul piano dell'allocazione, molti prevedono aggiustamenti significativi all'interno delle singole asset class ai fini del posizionamento dei portafogli in vista del nuovo anno. Questi movimenti sono legati a sei tendenze chiave.
1) FIXED INCOME: IL RIALZO DEI TASSI RIACCENDE L'INTERESSE VERSO LE OBBLIGAZIONI
Mentre la Fed ha portato i tassi dallo 0% di gennaio 2022 al 3,75%-4% previsto per novembre, seguita a ruota dalle altre banche centrali, gli investitori istituzionali hanno iniziato a guardare le obbligazioni con altri occhi. Sette su dieci (72%) prevedono che il rialzo dei tassi favorirà il ritorno all'obbligazionario tradizionale.
Probabili altri rialzi
Uno dei motivi per cui molti prevedono un futuro più roseo per le obbligazioni è il fatto che pochi credono che la serie di rialzi dei tassi sia terminata. In effetti, il 54% degli intervistati prevede che i rialzi proseguiranno anche nel 2023, mentre è molto inferiore il numero di chi pensa che non ci saranno altri rialzi (20%) e di chi si aspetta invece un taglio dei tassi (26%).
Mentre i bond rimangono ben al di sopra della media degli ultimi dieci anni, il 60% delle istituzioni si attende una sovraperformance delle obbligazioni con duration lunga nel 2023, mentre il 40% propende per un buon risultato delle duration corte. Nel complesso, il 63% si dichiara pronto a contrastare il rischio di duration attraverso una combinazione di obbligazioni a breve termine ed ETF.
Dopo un anno all'insegna della volatilità per l'obbligazionario, gli investitori istituzionali hanno anche opinioni contrastanti circa l'andamento di questo mercato nel nuovo anno: per il 36% la volatilità si ridurrà, un altro 36% la prevede invece in aumento, mentre il 27% ritiene che non ci saranno cambiamenti.
Modifiche di allocazione in risposta ai tassi e alla recessione
Oltre la metà (53%) degli intervistati dichiara di avere intrapreso un processo di derisking del portafoglio a causa dei recenti riorientamenti dei rendimenti, con la conseguente ridefinizione della strategia fixed income. Questa fuga verso la qualità fa sì che gran parte delle istituzioni intenda aumentare l'esposizione verso le obbligazioni investment grade (49%) e governative (48%). È invece inferiore il numero di coloro che intendono aggiungere obbligazioni high yield altamente sensibili al credito (37%) e obbligazioni dei mercati emergenti (29%), mentre l'8% si avvia a sfoltire le cartolarizzazioni in portafoglio.
I cambiamenti di politica sollevano dubbi sulla liquidità
Nonostante il rinnovato interesse verso le obbligazioni, gli investitori istituzionali individuano un potenziale punto debole nella liquidità. Mentre la Fed e le altre banche centrali hanno concluso i rispettivi programmi di acquisto di attivi, il 36% degli investitori istituzionali cita la liquidità come principale rischio di portafoglio nel 2023. Probabilmente questi investitori hanno una duplice preoccupazione: da un lato esiste il timore che, se i possessori degli asset avessero necessità di vendere ingenti quantità di titoli, potrebbero non trovare un mercato di compratori pronti ad assorbirli. Dall'altro lato, questa situazione potrebbe anche rendere più difficile la determinazione dei prezzi per i potenziali acquirenti.
RICHIESTA DI GREEN BOND IN CRESCITA NEL 2023
In cerca di rendimento per il 2023, il 62% degli investitori istituzionali ritiene di poterne trovare nell'investimento ESG (che raggruppa finalità ambientali, sociali e di governance). Sembrerebbe che siano disposti ad agire d'istinto, visto che praticamente la stessa percentuale (59%) intende aumentare gli investimenti ESG. Molti si affideranno ai green bond. La metà delle istituzioni già in possesso di green bond nel mondo intende investire di più in questi strumenti, mentre quasi lo stesso numero è propenso a mantenere l'allocazione attuale. Solo il 4% intende ridurre le partecipazioni attualmente detenute in portafoglio. Ma le cifre globali non dicono tutta la verità. In effetti, circa sette investitori asiatici su dieci (68%) già in possesso di partecipazioni in green bond sono intenzionati ad aumentare la loro esposizione. Lo stesso vale per il 54% di questa tipologia di investitori nell'EMEA.2) LA VOLATILITÀ RIPORTA ALLA RIBALTA LE VALUTAZIONI
Sebbene sulle prospettive del mercato azionario il campo si divida tra ottimisti e pessimisti, gli investitori istituzionali sono concordi su dove convenga investire in questa asset class. In generale, le azioni USA (40%) prevalgono su tutte le regioni. Gli investitori non hanno altrettanta fiducia nell'Europa, dove è più probabile che manterranno l'allocazione attuale (43%) o che addirittura la ridurranno (30%).
Sebbene ci si attenda una sovraperformance per i mercati avanzati, un terzo delle istituzioni intende aumentare l'esposizione verso le azioni dei mercati emergenti (32%) e della regione Asia-Pacifico (31%). A prescindere da dove sceglieranno di investire, è probabile che questi investitori concentreranno l'attenzione sulla ricerca fondamentale.
Dopo dieci anni di crescita dei mercati favorita dai bassi tassi d'interesse, l'83% degli investitori istituzionali ritiene che, nel 2023, i mercati riconosceranno l'importanza delle valutazioni, sentimento riscontrato in particolare in Asia e nel Regno Unito (91%).
La relativa calma che ha caratterizzato i mercati nel decennio scorso non c'è più e, nel 2022, l'indice VIX si è portato al 25,94%,4 un quadro che, per la maggioranza degli istituzionali, si confermerà anche l'anno prossimo. Sei investitori su dieci (57%) si aspettano addirittura livelli di volatilità più elevati nel 2023.
Viste le prospettive di recessione e di maggiore volatilità, i team istituzionali sono convinti che le grandi dimensioni siano un vantaggio; il 60% prevede infatti che, l'anno prossimo, le alte capitalizzazioni si comporteranno meglio delle piccole.
La volatilità potrebbe però avere un risvolto positivo; infatti, circa la metà (47%) del campione pensa che aumenterà anche la dispersione (differenza nei livelli di rendimento). Due terzi prevedono però, per il 2023, una sovraperformance degli investimenti attivi rispetto alle strategie passive.
GESTIONE ATTIVA SUGLI SCUDI
In uscita da un anno volatile e deludente per i mercati, gli investitori istituzionali riconoscono che l'investimento passivo presenta alcuni limiti fondamentali. In generale, il 60% segnala che, negli ultimi 12 mesi, gli investimenti passivi hanno battuto il benchmark. Alla luce delle prospettive per il 2023, il 74% è convinto che i mercati premieranno i gestori attivi.
Di fronte al possibile protrarsi di un contesto difficile, gli investitori istituzionali invitano alla prudenza riguardo al significato che un maggiore ricorso alle strategie passive può avere per i mercati: il 69% ritiene che flussi ingenti di investimento e disinvestimento dai prodotti passivi inaspriscano la volatilità, mentre il 60% pensa che il successo degli strumenti passivi abbia fatto aumentare il rischio sistemico e il 53% è dell'opinione che essi abbiano un effetto distorsivo sul trade-off tra rischio e rendimento.
3) LA CINA INCOMBE SUI MERCATI EMERGENTI
Perché gli investitori istituzionali mostrano una preferenza per i mercati avanzati nel 2023? In primo luogo, le economie emergenti sono più vulnerabili agli effetti negativi degli shock inflazionistici. Se a questo si aggiunge l'impatto di un dollaro forte, il protrarsi della politica "zero Covid" della Cina e la crescente rilocalizzazione di attività chiave da parte delle imprese, si ottiene un quadro di forti venti contrari per i team istituzionali.
Per i due terzi circa (65%), l'inflazione ostacolerà l'investimento nei mercati emergenti, opinione che trova forse una spiegazione nel fatto che un numero quasi identico (64%) pensa che i mercati emergenti siano in balia della politica monetaria statunitense. I mercati emergenti dipendono dagli investimenti e dai capitali esteri, più difficili da attrarre quando il dollaro si rafforza rispetto alle altre valute. Inoltre, con il rialzo dei tassi, le società dei paesi emergenti hanno più difficoltà a coesistere con un debito in dollari, con conseguente aumento del rischio di default.
Un ordine mondiale suddiviso in due campi
La Cina è al primo posto tra le preoccupazioni relative ai mercati emergenti. Due terzi degli investitori istituzionali nel mondo pensano che gli investimenti nei mercati emergenti dipendano in misura eccessiva dalla Cina. In un momento in cui la Cina vuole dare prova della sua influenza politica, le istituzioni sono preoccupate delle eventuali ripercussioni di questa situazione sugli investimenti.
In definitiva, il 65% ritiene che le ambizioni geopolitiche cinesi sfoceranno in una divaricazione dell'economia mondiale, in cui Cina e Stati Uniti rappresenteranno le maggiori sfere di influenza. Tre quarti (74%) pensano che le aspirazioni geopolitiche della Cina la rendano meno interessante a fini d'investimento e un altro 80% è dell'opinione che l’incertezza regolamentare del paese ne riduca ulteriormente l'attrattività.
I mercati emergenti sono esposti potenzialmente ad altre due problematiche, una immediata e una a più lungo termine. In considerazione dell'attuale impennata dell'inflazione, otto investitori istituzionali su dieci (79%) sostengono che il rischio associato all'inflazione dei prezzi alimentari sia sottostimato. Inoltre, quasi la metà (48%) ritiene che la crescente attenzione per l'ESG ridurrà le opportunità per i mercati emergenti.
4) INVESTIMENTI ALTERNATIVI COME RISPOSTA ALLA RICERCA DI RENDIMENTO (E NON SOLO)
Nella prospettiva di uno scenario caratterizzato da volatilità elevata, tassi ancora in rialzo e recessione, non sorprende che due terzi degli investitori istituzionali affermino che la performance di un portafoglio composto al 60% da azioni, al 20% da obbligazioni e al 20% da strumenti alternativi sarà probabilmente migliore di quella di un tradizionale portafoglio 60/40. Di conseguenza, nel 2023 molti investitori introdurranno una vasta gamma di investimenti alternativi.
Sostituzione del rendimento
Anche se i tassi stanno salendo, dieci anni di caccia al rendimento forse stanno ancora ossessionando i team d'investimento, al punto che sei investitori su dieci (61%) riferiscono che la loro organizzazione si sta orientando verso gli investimenti alternativi come fonte sostitutiva di rendimento. Questa strategia non è esente da rischi, tanto che il 61% teme che le istituzioni possano assumersi rischi eccessivi pur di conseguire rendimento.
In generale, la maggioranza (44%) intende aumentare gli investimenti infrastrutturali nel 2023, sotto la probabile influenza di due fattori più che mai opportuni: in primo luogo, le infrastrutture tendono a essere associate a rischi prevedibili e, storicamente, hanno generato forti rendimenti anche in presenza di volatilità sui mercati. In secondo luogo, le innovazioni introdotte, tra l'altro, nei settori dell'energia, dei veicoli elettrici (e delle stazioni di ricarica) e della digitalizzazione stanno creando ulteriori opportunità per gli investitori.
Le istituzioni si accingono anche ad aumentare gli investimenti in private equity (43%) e private debt (36%). Dato che entrambi i segmenti offrono un interessante potenziale di rendimento e piani di pagamento affidabili, non c'è da meravigliarsi se le istituzioni continueranno a fare affidamento sulle strategie che, negli ultimi anni, hanno offerto una fonte sostitutiva di rendimento.
Pur prevedendo una contrazione dell'immobiliare, sia commerciale che residenziale, il 29% intende aumentare l'esposizione verso questa asset class. Si ha l'impressione che, malgrado le sfide sul piano dell'economia, le istituzioni continueranno a contare sul fatto che il real estate assolva le proprie funzioni di generatore di reddito e di copertura contro l'inflazione.
Oltre la caccia al rendimento
Nel quadro dello sforzo di mitigazione del rischio da parte dei team istituzionali, l'eventuale decisione di aumentare l'allocazione agli alternativi nel 2023 va molto al di là della mera ricerca di rendimento. Poco meno di tre su dieci (29%) sono intenzionati ad aumentare le allocazioni alle strategie absolute return. Analogamente, il 27% investirà di più nell'oro, un'asset class finalizzata alla copertura contro il rischio di recessione e di una potenziale contrazione dei mercati nel corso dell'anno.
REAL ESTATE: OLTRE IL RESIDENZIALE E IL COMMERCIALE
Di fronte alle sfide che pesano sulle componenti residenziale e commerciale del mercato immobiliare, gli investitori istituzionali sono in cerca di opportunità nel real estate non tradizionale. Strettamente legati alla tecnologia e alla demografia, questi investimenti offrono una nuova strada per soddisfare le funzioni di generazione di reddito e di protezione dall'inflazione a lungo assicurate da questa asset class nei portafogli tradizionali.
Alcune opportunità sono stimolate dalla tecnologia e dall'innovazione, come evidenziato dal fatto che il 54% delle istituzioni investe nei data centre. Il 25% investe invece in lavoratori specializzati in scienze della vita e in altre strutture essenziali per il settore biomedico.
Opportunità sia con i giovani che con gli anziani
La demografia è un altro fattore rilevante, in quanto le istituzioni trovano opportunità in entrambe le fasce estreme della popolazione. I Baby Boomer stanno invecchiando rapidamente e stimolano da più parti l'investimento in alloggi per anziani, per esempio sotto forma di strutture di residenza assistita (37%). Considerando che, in genere, una popolazione che invecchia ha bisogno di più assistenza medica, il 20% investe anche in studi medici. All'estremo opposto, il 32% sta investendo in alloggi per studenti, una tipologia d'investimento improntata a una dinamica di leasing che assicura un efficace flusso finanziario legato al calendario accademico.
Il retail housing è la terza tendenza di rilievo nella strategia real estate degli investitori istituzionali; il 27% investe infatti in alloggi essenziali/a prezzi accessibili, il 18% si concentra sulle opportunità offerte dal segmento delle case prefabbricate e il 16% investe in case monofamiliari destinate alla locazione.
5) Gli asset non quotati vengono in aiuto a un mercato in ribasso
Negli ultimi dieci anni, gli investitori istituzionali si sono rivolti sempre più ai mercati privati per compensare i bassi rendimenti obbligazionari. È però probabile che, nel 2023, faranno ricorso agli asset non quotati anche per dare sollievo alla componente azionaria dei portafogli.
Circa la metà (48%) pensa che i private market costituiranno un porto sicuro in caso di recessione. La fiducia nella capacità dell'asset class di assolvere questa funzione è cresciuta costantemente rispetto a quanto emergeva dalle indagini condotte nel 2021, quando solo il 35% pensava agli asset non quotati come a un bene rifugio, e nel 2022, quando questa percentuale si attestava al 45%.
A prescindere dal motivo che spinge le istituzioni verso i mercati privati (volatilità azionaria o bassi rendimenti), oggi i team istituzionali si rendono conto che, in presenza di un mercato più ampio e con più player, dovranno migliorare le loro capacità di analisi per individuare le opportunità d'investimento.
La maggioranza (72%) ha intensificato gli sforzi di due diligence sulle opportunità private per rispondere alle preoccupazioni relative alla qualità delle operazioni. Molti riconoscono inoltre che, per districarsi nella complessità dei mercati privati e valutare correttamente le operazioni, bisogna disporre di competenze specialistiche. In generale, quasi quattro istituzioni su dieci (36%) intendono avvalersi di un consulente specializzato o di un chief investment officer esterno (OCIO) per essere orientate opportunamente sui mercati privati.
Oltre a venire in aiuto di un mercato in ribasso, è chiaro che i team istituzionali si rivolgono ancora agli asset non quotati per cercare rendimento. Pochi ritengono che la risalita dei tassi peserà sulla domanda e il 65% prevede che, nel 2023, si registrerà un aumento delle emissioni di debito privato proprio per soddisfare la crescente domanda.
6) La blockchain sembra più interessante delle criptovalute
Considerando che gli investitori istituzionali avevano già previsto una correzione delle criptovalute nel corso del 2022 e alla luce dalla battuta d'arresto subita da questo mercato negli scorsi 12 mesi, non sorprende che il campione ritenga che, nel 2023, la performance dell'oro (76%) supererà quella delle criptovalute.
Gli investitori istituzionali continuano a manifestare dubbi sulle criptovalute, sebbene scorgano un potenziale promettente nella tecnologia alla base di queste valute digitali.
Oggi solo il 15% del campione investe in criptovalute. In particolare, il 63% afferma che, per un'istituzione, l'investimento in criptovalute non sia giustificato, soprattutto a causa della volatilità. Come dimostrano i dati di performance del 2022, si tratta di un'asset class suscettibile di pesanti oscillazioni di valore e questa incertezza è particolarmente preoccupante per i team d'investimento che lavorano sull'ipotesi di un rendimento annuale del 7,9% nel lungo termine.
Gli investitori istituzionali si tengono ai margini di questo settore anche a causa dell'ambiguità normativa che circonda le criptovalute. Proprio per questo, il 61% del campione ritiene che una maggiore chiarezza sul piano regolamentare darebbe impulso a questo strumento ed è probabile che questa opinione tenderà a rafforzarsi nel corso dell'anno, man mano che gli organi di regolamentazione sbroglieranno il quadro in cui si è arrivati al fallimento di piattaforme di trading in criptovalute come FTX e BlockFi.
Mentre un quarto del campione (27%) dichiara di investire in questo strumento a titolo personale, quasi tre quarti (73%) affermano che le criptovalute non sono adatte per la maggior parte degli investitori individuali.
L'attenzione per la performance di questa classe resta alta e il sentiment degli investitori istituzionali suggerisce che le le criptovalute possano offrire nuovo valore. Nell'analisi dell'asset class, l'83% ritiene che la vera rivoluzione sia rappresentata dalla tecnologia blockchain su cui si basano le criptovalute.
Prospettive ottimistiche per un anno all'insegna dell'incertezza
Nel 2022 gli investitori istituzionali sono stati messi sotto torchio, proprio come l'insieme del mercato. E sebbene per il nuovo anno si confermi uno scenario di inflazione, tassi d'interesse e volatilità, con forte probabilità di recessione, gli investitori istituzionali rimangono comunque ottimisti. In generale, sono decisamente capaci e valutano con attenzione gli strumenti di cui dispongono per poter garantire il successo degli investimenti.
2 Bloomberg (as of 11/30/22)
3 Bloomberg (as of 11/30/22)
4 Bloomberg (as of 11/30/22)
I dati riportati rappresentano l'opinione degli intervistati e possono cambiare in base alle condizioni di mercato e di altro tipo. Non devono essere interpretati come consigli di investimento.
Questo materiale è fornito solo a scopo informativo e non deve essere interpretato come una consulenza sugli investimenti. Le opinioni e i pareri espressi sono aggiornati al dicembre 2022 e possono cambiare in base alle condizioni di mercato e di altro tipo. Non è possibile garantire che gli sviluppi si verifichino come previsto e i risultati effettivi possono variare.
Tutti gli investimenti comportano rischi, compreso il rischio di perdite. Nessuna strategia di investimento o tecnica di gestione del rischio può garantire il rendimento o eliminare il rischio in tutti i contesti di mercato. Il rischio di investimento esiste con gli investimenti azionari, a reddito fisso e alternativi. Non vi è alcuna garanzia che un investimento raggiunga i propri obiettivi di rendimento o che si evitino perdite.
A differenza degli investimenti passivi, non esistono indici che un investimento attivo cerca di seguire o replicare. Pertanto, la capacità di un investimento attivo di raggiungere i propri obiettivi dipenderà dall'efficacia del gestore dell'investimento.
Le strategie di asset allocation non garantiscono un profitto né proteggono da una perdita.
Gli investimenti alternativi comportano rischi unici che possono essere diversi da quelli associati agli investimenti tradizionali, tra cui l'illiquidità e il potenziale ampliamento delle perdite o dei guadagni. Gli investitori devono comprendere appieno i rischi associati a qualsiasi investimento prima di investire.
Gli investimenti in materie prime, compresi i derivati, possono essere influenzati da una serie di fattori, tra cui i prezzi delle materie prime, gli eventi mondiali, i controlli sulle importazioni e le condizioni economiche, e pertanto possono comportare un rischio sostanziale di perdita.
L'indice S&P 500® è una misura ampiamente riconosciuta della performance del mercato azionario statunitense. Si tratta di un indice non gestito di 500 azioni ordinarie scelte, tra l'altro, in base alle dimensioni del mercato, alla liquidità e alla composizione settoriale. Misura inoltre la performance del segmento large-cap del mercato azionario statunitense.
L'investimento sostenibile si concentra sugli investimenti in società che si riferiscono a determinati temi di sviluppo sostenibile e che dimostrano di aderire a pratiche ambientali, sociali e di governance (ESG); pertanto l'universo degli investimenti potrebbe essere limitato e gli investitori potrebbero non essere in grado di trarre vantaggio dalle stesse opportunità o tendenze di mercato degli investitori che non utilizzano tali criteri. Ciò potrebbe avere un impatto negativo sulla performance complessiva di un investitore, a seconda che questo tipo di investimenti sia favorito o meno.
La diversificazione non garantisce un profitto né protegge da una perdita.
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